Quando un sintomo segnala un disagio: l’encopresi

Sappiamo che tanti bambini amano moltissimo l’argomento “cacca” o “pupù” per ridere e divertirsi. Ma può capitare che vivano situazioni di grande malessere. In un’età che va dai 3 anni – periodo in cui il controllo degli sfinteri è, di norma, stato raggiunto – sino alla prima adolescenza (12 anni), possono manifestare il sintomo dell’encopresi, emettendo involontariamente feci in situazioni sociali, sporcandosi e vivendo una situazione di grande disagio.

L’incontinenza fecale può alternarsi al rifiuto di fare la cacca, che possono trattenere anche per giorni, alimentando le ansie dei genitori, i quali spesso non sanno come devono regolarsi. Alcuni bambini defecano solo nel pannolino, altri si sporcano mentre sono a scuola, altri ancora la trattengono al punto che i genitori devono somministrare farmaci che li aiutino ad evacuare.

Si tratta di situazioni estremamente delicate, dove non è semplice capire quale sia l’intervento più adatto. In primo luogo, vanno indagati fattori organici. In questo contesto ci occupiamo del piano psicologico e delle cause psichiche che sono alla base del sintomo. Ci possono essere situazioni ambientali che causano disagio – e in questo caso bisogna avviare una psicoterapia familiare – oppure può esserci una fragilità nel bambino, il che fa propendere per una psicoterapia individuale. Nella maggior parte delle situazioni, l’esperienza clinica ha dimostrato che è consigliabile un lavoro integrato che preveda la psicoterapia infantile affiancata da un percorso di sostegno a tutta la famiglia. Sul piano psicodinamico, alla base di questo sintomo – che è definito “primario” quando il bambino non ha mai raggiunto il controllo degli sfinteri e “secondario” quando lo ha perso ad un certo momento – c’è un desiderio di controllo di un oggetto interno, rappresentante psichico del genitore, che rassicura il bambino rispetto ad angosce di perdita.

Rivolgersi ad uno psicoterapeuta può aiutare a capire quale sia il motivo alla base dell’angoscia. L’angoscia di perdita può avere, per esempio, radici in un lutto non elaborato della madre, la quale, nel passato, potrebbe aver subito una perdita importante senza essere ancora riuscita a superare la sofferenza. E’ proprio questa sofferenza che inconsciamente arriva al bambino, il quale, avendo un Io non ancora strutturato, non può fare altro che viverla attraverso il sintomo, che in questo caso si esprime nel timore di lasciare andare qualcosa di “prezioso”, le sue feci, con la conseguente perdita involontaria in momenti non appropriati e imbarazzanti.

Un’altra situazione che può verificarsi è la depressione materna, che spesso si ha nel post-partum quando la neo mamma non trova un ambiente che la sostiene. Anche qui il bambino sente di aver subito una perdita ed è la perdita di una madre viva e libidica, che potrebbe rappresentare con il sintomo fisico del rifiuto a defecare e a controllare gli sfinteri.

Oppure potremmo trovarci in una situazione di trauma precoce, che il bambino ha sperimentato e che ha attivato difese narcisistiche maniacali o difese di controllo ossessivo. Molti bambini che manifestano il sintomo dell’encopresi sono dotati di risorse intellettive superiori alla media, per una dotazione individuale oppure perché sono stati iperstimolati dall’ambiente, e hanno strutturato un Io troppo precocemente. In questi casi, la ritenzione anale esprime un vissuto di onnipotenza e rivela difficoltà di separazione che testimoniano spesso una sottostante depressione. Sgridare o rimproverare di sicuro non aiuterà. Sarà invece utile e risolutivo, se non esiste una causa organica, un intervento psicologico tempestivo. Solo attraverso un’analisi del profondo è possibile indagare il conflitto che il singolo bambino sta vivendo e che sta esprimendo con un sintomo così doloroso e invalidante.

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